Il 2020 è stato un anno da dimenticare per l’economia mondiale. Nonostante gli effetti della pandemia, che hanno causato (e stanno ancora causando) una situazione di generale recessione, si evidenziano però anche degli effetti positivi.
Interessanti indicazioni emergono dall'EY Attractiveness Survey 2021, lo studio annuale che analizza l'andamento degli investimenti in Europa in relazione alle percezioni dei player internazionali, con lo scopo di indagare il livello di attrattività di ciascun Paese.
Lo studio, pubblicato a fine giugno, evidenzia un aumentato interesse degli investitori internazionali per il ‘sistema Italia’. Nello specifico, il dato positivo che più ci riguarda direttamente è quello relativo ai cinque punti percentuali in più rispetto al 2019 nel numero di progetti di investimento diretto estero nel nostro paese. Un dato positivo, soprattutto se accostato al fatto che quasi la metà degli intervistati, manager di aziende attive a livello internazionale, si dichiara pronto a espandere le proprie attività nel nostro paese.
L’Italia va meglio di altri Peasi per gli investimenti stranieri
Nonostante il duro colpo inflitto dal Covid-19, l'Italia è tra i pochi Paesi del Vecchio Continente ad aver registrato una crescita nel numero di investimenti stranieri rispetto al 2019. A fronte di un calo medio del 13%, da noi gli investimenti diretti sono cresciuti del 5%, con un totale nel 2020 di 113 nuovi progetti finanziati. Un dato incoraggiante, che segna un rinnovato interesse per il nostro Paese, anche se la quota di IDE (investimento diretto estero) destinati all’Italia rispetto al totale europeo resta contenuta (il 2% del totale, contro il 18% della Francia, il 17% di Germania e Regno Unito).
In testa alla classifica degli investimenti diretti esteri in Italia nel 2020 risultano gli Stati Uniti (24%), seguiti da Francia (16%), Germania (12%) e UK (9%). Si posiziona invece più indietro la potenza cinese (4%), che sopravanza di poche lunghezze il Giappone (3%).
In quali settori si investe di piú?
Ad attrarre la fetta più grossa degli investimenti esteri in Italia nel 2020 sono il settore dei servizi alle imprese, cosiddetti B2B (13%), e quello della progettazione di software e servizi IT (12%) - anche se quest’ultimo subisce una discesa di 5 punti rispetto al 2019. A crescere nell’anno della pandemia sono poi soprattutto il comparto logistica e wholesale (12%), finanza (8%) e farmaceutico (7%). Mentre per il settore dei macchinari e attrezzatture industriali (5%) e per quello tessile (4%) nel 2020 si sono registrate le flessioni più marcate, trainate dal clima di incertezza durante i mesi di lockdown.
Del totale di 113 nuovi progetti direttamente finanziati da investitori esteri nel 2020, il 22% riguarda l’area commerciale e marketing. Da segnalare anche la crescita di progetti mirati a valorizzare il nostro know-how tecnico e imprenditoriale, a maggior valore aggiunto, quali l’investimento in processi di produzione manifatturiera (19% dei progetti) e in ricerca e sviluppo (15%).
Ancora molta strada da fare...
Lo studio evidenzia come gli IDE non seguano una distribuzione omogenea sul territorio nazionale, essendo concentrati sulle regioni caratterizzate dalla presenza dei distretti industriali più innovativi (a titolo di esempio meccatronica, lusso e design, mobile, tessile, biomedicale), soprattutto nel Nord-Ovest (58% degli IDE) e centro Italia (24%). D’altro canto, si è puntato sui territori caratterizzati da infrastrutture, fisiche e digitali, più interconnesse e su aree densamente popolate, nelle quali si sono sviluppate le piattaforme logistiche, al servizio dell’omnicanalità.
Nonostante l’attrattività dei numerosi comparti dell’economia, restano delle criticità da affrontare al fine di incrementare l’attrattività del Paese. Prima fra tutte, una parziale incertezza a livello di regolamentazione, che viene indicata come la questione più urgente dal 58% degli intervistati. Tra le criticità evidenziate, si menziona anche un eccessivo carico burocratico per il business (55%).
Tagliare le tasse (29%), supportare le piccole e medie imprese (28%) e ridurre il costo del lavoro (28%) sono le tre macro-aree d’intervento che, a detta dei manager intervistati, permetterebbero di dare una spinta decisiva alla competitività italiana. Restringendo il campo di analisi ai soli investitori che hanno già stabilito attività in Italia, alle priorità da affrontare si aggiungono il potenziamento delle policy di sostenibilità ambientale e transizione verde (35%), rispetto al costo del lavoro e alla riduzione della tassazione, che non rientrano tra i primi obiettivi dell’agenda politico-economica del Paese.
Poichè una porzione rilevante di nuovi flussi d’investimento punta all’Italia per il proprio know-how tecnico e per la qualità del capitale umano, occorre lavorare su questi aspetti per valorizzare le eccellenze del nostro Paese anche in ambiti a maggior valore aggiunto, come ricerca e sviluppo, processi manifatturieri e relativi controlli qualità.
Le infrastrutture esistenti necessitano di investimenti per guadagnare competitività e risolvere la disomogeneità tra le varie aree del Paese. Rafforzare la domanda interna è un’ulteriore leva attivabile per consentire di attrarre più investimenti in futuro, con un conseguente impatto su occupazione e crescita.