I principali esperti di economia sono d’accordo nell’affermare che è molto più importante che i politici sostengano politiche imprenditoriali basate sullo sviluppo e la rifocalizzazione delle imprese esistenti piuttosto che concentrarsi esclusivamente sulla creazione di nuove aziende.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un significativo cambiamento di attitudine imprenditoriale un po’ in tutti i Paesi del mondo che ha portato ad una drammatica proliferazione di programmi e accelleratori dedicati alle startup. Il termine “startup” è entrato nel linguaggio comune ed è ormai difficile trovare una città grande o piccola che non abbia un proprio programma di sviluppo imprenditoriale.
E’ bene qui specificare che per “startup” si intende una nuova organizzazione o una nuova impresa in cerca di un modello di business ripetibile e scalabile. Esistono altri tipi di nuove imprese, che a volte vengono impropriamente denominate startup, ma nascono invece a seguito di rilanci aziendali, spin-off brevettuale o partnership strategiche con aziende sinergiche per sfruttare nuove tecnologie o fare efficientamento.
L’equazione “imprenditorialità = startup” non è errata ma è incompleta. Da un lato sembra che il passo più importante e difficile per gli imprenditori sia il lancio della propria impresa o di una nuova avventura, dall’altro sembra quasi che venga consigliato “più siamo meglio è” ovvero più startup ci sono più di successo è il programma che le supporta. Sappiamo bene, però, che quantità non sempre è sinonimo di qualità.
Se pensiamo alla “entrepreneurship” come alla creazione di valore allora è chiaro che il valore può essere creato in molti modi: acquisizioni, riorganizzazione, spin-off tecnologico, rilancio di iniziative e asset, sottovalutati o sottoutilizzati.
La lezione che molti case study oggi ci consegnano in pagine e pagine di studi accademici e report finanziari è la seguente: crescere è molto più difficile di quanto si pensi rispetto a fare startup. Dobbiamo quindi concentrare la nostra attenzione sulla crescita subito dopo lo startup. È importante sostenere l’innovazione ma è altrettanto e forse più importante sostenere lo sviluppo altrimenti si rischia di aver finanziato qualcosa che rimarrà in una fase embrionale e non riuscirà mai ad emergere, con il rischio per la comunità che l’investimento iniziale non sarà mai ripagato, ad esempio con ulteriore indotto imprenditoriale, tasse e posti di lavoro.
Mediamente meno di 1 startup su 100 fa scale-up. Una startup vive per un solo e unico obiettivo: innovare il mercato con un prodotto o servizio che abbia un valore talmente alto da spingere le persone a volerlo usare. Per questo le startup sono spesso portate a correre rischi nelle fase iniziali del loro ciclo di vita.
Di contro, le scale up sono aziende che hanno già un prodotto che ha permesso loro di avere una posizione all’interno del mercato: per questo motivo posso essere aggressive ma consolidando la posizione raggiunta, possono testare più a lungo una nuova soluzione su diversi ambiti (prodotto, organizzazione aziendale, ecc…). Inoltre, gestiranno i progetti e le persone in maniera diversa: avendo già un margine di guadagno saranno in grado di alzare l’asticella del proprio lavoro puntando su una comunicazione interna più efficace o investendo sui propri dipendenti.
Infine, l’abilità di leadership richiesta per gestire una startup è diversa da quella richiesta per una scale-up. Le competenze richieste per assumere, formare e fare da mentore ai membri del team variano molto. In una scale-up — che è un tipo di azienda più adulta — è importante “attingere” a nuove competenze dall’esterno.
Per questi motivi e importante riconoscere il ruolo della scale up nel panorama italiano - si tratta molto spesso di quelle piccole e medie aziende innovative che trainano l’economia del nostro Paese.