Ci dobbiamo preparare ad un inverno dei capitali? Uno sguardo all’ecosistema delle piccole e medie imprese tra crisi economica e inflazione

14/09/2022
APPROFONDIMENTI

Con i mercati in profondo rosso e all’orizzonte nubi di recessione che si fanno sempre più minacciose, in molti pensano che per start up e Pmi quest’autunno sarà una stagione difficile per crescita e accesso a fonti di finanziamento.

In Italia, per fortuna, ci sono imprenditori coraggiosi che non si lasciano intimorire da un momento storico a dir poco sfavorevole. Tra crisi energetica, guerra in Ucraina, inflazione, il Covid che va e che viene e una politica interna sempre abbastanza instabile il quadro è in apparenza deprimente. La realtà, infatti, potrebbe essere diversa - nel primo semestre del 2022 le start-up sono aumentate del 12% rispetto allo scorso anno. Questo potrebbe stare a significare che aumenta la voglia di investire.

Secondo il report dell'Osservatorio Venture Capital Monitor, i nuovi investimenti, nei primi sei mesi dell'anno in corso, sono stati 157 rispetto ai 137 del 2021. L'ammontare investito da operatori domestici ed esteri in start up italiane (957 milioni di euro) registra una crescita del 123% in confronto ai 429 milioni del primo semestre del 2021.

Un piccolo rallentamento si è registrato sull'ammontare investito in realtà estere fondate da imprenditori italiani, che passa da 379 milioni a 176 milioni di euro, con un numero di operazioni in linea con l'anno precedente. Sommando queste due componenti, però, il totale complessivo si attesta a 1,1 miliardi di euro (nel primo semestre del 2021 erano 808 milioni).

Ci dobbiamo aspettare un inverno dei capitali?

In uno scenario globale di fine del ‘quantitative easing’ da parte delle Banche centrali, di crescita dell’inflazione e conseguente aumento dei tassi di interesse, siamo sicuramente entrati in un nuovo periodo storico di stretta monetaria, con minore liquidità per gli investimenti, un maggiore prezzo del denaro e un rinnovato interesse per alcune asset class (come, ad esempio, i titoli di Stato) che per anni sono risultate poco o per nulla remunerative.

Questa ‘tempesta perfetta’ sembrerebbe abbattersi anche sulla valutazione di startup e Pmi, ma è veramente così o si tratta di allarmismo infondato?

Da una parte, la caduta verticale dei titoli ‘tech’ a Wall Street degli ultimi mesi sta certamente riducendo significativamente le valutazioni di scale up e unicorni che fino a un anno fa erano viste come realtà ‘disruptive’. In molti casi su queste aziende sono piovuti miliardi di investimenti che dopo pochi anni venivano recuperati con gli interessi grazie ad IPO o exit molto favorevoli e basate su valutazioni nettamente al di sopra della media di mercato.

L’Italia non è l’America

Il nostro ecosistema soffre da sempre di ‘nanismo’ per quando riguarda i round di finanziamento di ogni fase. Ne sono indice le diverse startup con fondatori italiani che hanno raggiunto la qualifica di ‘Unicorno’ negli ultimi anni ma che hanno portato la sede fuori dai confini, principalmente proprio per motivazioni legate alla reperibilità di investimenti a condizioni competitive ancor più che per la maggior scalabilità dei mercati internazionali.

Secondo i dati pubblicati dal Ministero dello Sviluppo Economico, al 1° luglio 2022 le startup innovative italiane iscritte al Registro delle imprese sono state 14.621, il 3,7% di tutte le società di capitali di recente costituzione, un dato in aumento rispetto al trimestre precedente con 259 nuove unità (+1,8%).

Inoltre, nel secondo trimestre 2022, il Fondo di Garanzia per le Pmi (FGPMI) ha gestito 666 operazioni verso startup innovative, con una crescita del 7% rispetto al precedente trimestre, e il totale dei finanziamenti potenzialmente mobilitati si attesta intorno ai 193 milioni di euro, in aumento del 44% rispetto al periodo gennaio-marzo 2022. Nel secondo trimestre, inoltre, il finanziamento medio ammonta a 289 mila euro, in crescita del 34% rispetto al trimestre precedente.

Conclusioni

In tutti i Paesi con un ecosistema di un livello inferiore a quello dei ‘big players’ USA, UK e Israele, il trend è quello di crescita, e tutti gli attori devono impegnarsi per fare in modo che anche l’Italia segua questa traiettoria.

Abbiamo paradossalmente la straordinaria opportunità di livellare il campo di gioco con gli altri Paesi. Questo può essere ottenuto aumentando il taglio medio dei round più piccoli in un momento di “pausa” degli investimenti e delle IPO delle realtà più mature. E’ necessario, però, un lavoro coordinato che coinvolga gli organi legislativi, le organizzazioni di market making e gli stakeholder privati. Infine, anche noi come operatori del settore dobbiamo credere nella possibilità dei nuovi imprenditori italiani di “provarci”, e di dare valore all’immensa ricchezza privata del Paese che fatica a reperire capitali per la crescita.



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